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Le nostre storie

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Lorenzo Muttoni

Quello di Lorenzo Muttoni è un percorso segnato da una spinta all’innovazione tecnologica, da una profonda curiosità intellettuale e da un atteggiamento analitico-razionale plasmato dallo studio delle discipline scientifiche.

Da sempre appassionato di informatica, dopo una laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni e un dottorato di ricerca sul calcolo ad alte prestazioni, Lorenzo ha saputo mettere a frutto la sua forma mentis di ricercatore nei contesti più diversi, prima presso PoliHub, l’incubatore del Politecnico, poi come consulente e, infine, come Chief Information Officer del Comitato Elettrotecnico Italiano.

Con la progettazione e lo sviluppo della piattaforma online MyNorma, ha contribuito a innovare il modello di business dell’Associazione e a cambiare l’esperienza utente dei professionisti che accedono in consultazione alle norme tecniche: adesso si prepara ad affrontare le sfide più attuali che le nuove tecnologie pongono al mondo della normazione.

Lorenzo, qual è il tuo percorso accademico e professionale?

Sono arrivato al Politecnico di Milano dopo aver conseguito la maturità classica, quindi partendo da un percorso molto distante dal mondo tecnico-scientifico. A farmi prendere questa decisione è stata la mia grande attrazione per tutto ciò che riguardava la tecnologia, in particolare l’informatica, che all’epoca era ancora agli albori. Inizialmente, per non deludere le aspettative dei miei genitori, mi sono iscritto a Ingegneria Elettronica ma dopo tre anni ho capito che avrei preferito occuparmi di software e telecomunicazioni. Così sono passato a Ingegneria delle Telecomunicazioni e lì è iniziato il mio vero percorso.

Dopo la laurea, il mio relatore – il Prof. Giuseppe Serazzi, che conosceva la mia passione per l’informatica – mi ha offerto l’opportunità di fare un dottorato di ricerca. La cosa mi ha reso molto felice, soprattutto perché il progetto a cui avrei dovuto lavorare, ASI-PQE2000, riguardava il calcolo ad alte prestazioni. Mi sono occupato principalmente di quello che all’epoca si chiamava grid computing, più specificamente della valutazione delle prestazioni di un ambiente di sviluppo innovativo. Parallelamente, ho portato avanti un’attività di ricerca sulle cosiddette personal digital library, biblioteche digitali che consentono a ciascun utente ampi margini di personalizzazione e gli suggeriscono – ad esempio – nuovi titoli in funzione delle letture già fatte. Oggi siamo abituati a questo tipo di tecnologia ma vent’anni fa si trattava di qualcosa di assolutamente innovativo.

Concluso il dottorato, ho iniziato a collaborare con PoliHub, l’Innovation Park & Startup Accelerator del Politecnico di Milano, dove ho dato vita a un piccolo laboratorio finalizzato alla realizzazione di progetti al servizio delle imprese incubate e a supporto delle attività istituzionali dell’incubatore. In quegli anni, complice la mia forma mentis plasmata dalla ricerca scientifica, abbiamo realizzato e sperimentato diversi prototipi di framework per la gestione documentaria e la costruzione di portali: tutte cose che, in embrione, hanno anticipato prodotti arrivati sul mercato molti anni dopo.

A un certo punto, mi sono trovato davanti a un bivio: continuare con la ricerca accademica oppure cedere alla “tentazione” di spostarmi verso il mondo dell’industria. Pur essendo estremamente affascinato dalla ricerca, ho capito che avrei preferito “sporcarmi le mani” e occuparmi di problemi più concreti. Così ho cominciato a collaborare con diverse realtà industriali e istituti di ricerca privati, mettendo a frutto anche in quest’ambito la mia formazione tecnico-scientifica e la mia attitudine alla ricerca. Per un po’ ho lavorato con aziende che sviluppavano progetti finanziati da Regione Lombardia e dalla Comunità Europea, tutti estremamente interessanti, finché il Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) mi ha chiesto di effettuare una valutazione dei loro sistemi informativi.

La collaborazione con il CEI ha rappresentato una svolta nella mia carriera perché qualche mese dopo aver portato a termine il mio lavoro sono stato ricontattato e mi è stata fatta una proposta di lavoro. Avrei dovuto sostituire il responsabile dei sistemi informativi, che sarebbe andato in pensione di lì a poco, e aiutare l’Associazione a rinnovare radicalmente l’approccio nei confronti di questi temi. Una figura come la mia, con forti competenze tecniche affiancate dalla capacità di fare ricerca e innovazione, era la più adatta a soddisfare questa esigenza, così ho accettato la proposta e dal 2012 ho cominciato a lavorare al CEI.

Di cosa ti sei occupato in qualità di Chief Information Officer del CEI?

Quello con il CEI è stato ed è un percorso molto interessante perché, pur essendo un’Associazione molto legata al mondo istituzionale e quindi per sua natura “conservatrice”, mi ha consentito di portare a termine progetti estremamente stimolanti. Grazie a questi progetti innovativi, l’Associazione ha cambiato radicalmente il suo modello di business: un ottimo esempio di come un contributo tecnologico possa incidere in positivo sul modo di presentarsi sul mercato.

In parole più semplici, ci si è resi conto che stava cambiando la richiesta del mercato: la norma, intesa come prodotto editoriale, diveniva sempre meno attraente per l’utente finale (il professionista), mentre – al contempo – diventavano sempre più importanti i servizi a supporto della corretta fruizione delle norme stesse. In uno scenario così, la scelta più ovvia per un’Associazione come il CEI era quella di rimodellare la propria offerta orientandosi sulla vendita di servizi. Grazie alla lungimiranza e, direi, anche al coraggio del Direttore Generale e dei colleghi delle Vendite, è stato possibile avviare un importante progetto di Ricerca e Sviluppo che ha permesso di realizzare una piattaforma online che ha cambiato il modo con cui l’utente interagisce con lo strumento informatico. Si tratta di un progetto interdisciplinare molto vasto, in cui è stato necessario coinvolgere differenti competenze: dalla modellazione dei sistemi di archiviazione allo studio dell’interazione uomo-macchina, dalla valutazione delle prestazioni e della scalabilità allo studio dei sistemi di sicurezza e dell’alta affidabilità. Senza dimenticare, ovviamente, la preponderante attività di ingegneria del software, intesa come progettazione, implementazione, controllo qualità, ecc. che ha caratterizzato tutti questi anni di ricerca. È stato un lungo lavoro, molto impegnativo e dagli esiti incerti (come tutti i progetti di ricerca) ma i risultati hanno soddisfatto pienamente le aspettative, anche a giudizio dei nostri utenti finali.

Come funziona MyNorma e che impatto ha avuto sul modo in cui i professionisti si confrontando con una realtà complessa come quella della normazione?

MyNorma è una sorta di contenitore che ha al suo interno una molteplicità di applicazioni verticali specializzate. Esiste un modulo dedicato all’e-commerce, uno per la fruizione delle norme in abbonamento, uno per i corsi di formazione specialistici erogati dal CEI… Tutte queste applicazioni indipendenti cooperano tra loro per offrire all’utente finale un’esperienza unica, senza soluzione di continuità, che risolve le necessità legate all’uso quotidiano delle norme e, a volte, anticipa soluzioni che semplificano la vita.

La vera novità di MyNorma riguarda, però, la modalità con cui l’utente finale interagisce con i nostri sistemi informativi. Oggi non puntiamo più a vendere le norme ma abbonamenti di consultazione. Se, prima, l’utente si limitava a interagire con i sistemi CEI per pochi istanti, limitandosi a scaricare il testo della norma una volta ogni 2-3 anni, oggi si collega quotidianamente ai nostri sistemi per consultarla online e fruire di tutti i servizi di supporto che siamo in grado di erogare. Questa differente modalità di fruizione dei contenuti da parte degli utenti finali ha fatto emergere in modo forte la necessità di migliorare la User Experience, rendendo pratica e agevole la consultazione non solo su dispositivi tradizionali ma anche su dispositivi mobili, dal momento che una delle esigenze dei nostri utenti finali era proprio quella di consultare le norme anche in mobilità, ad esempio in cantiere.

Un ulteriore punto di forza di MyNorma è la sua capacità di risolvere uno dei problemi più sentiti da chi si trova a dover consultare le norme: assicurarsi, cioè, che la versione della norma che si sta utilizzando sia quella più aggiornata. MyNorma, infatti, oltre a servizi di notifica degli aggiornamenti attivabili su richiesta dell’utente, offre strumenti visuali per capire in modo immediato se la versione che si sta utilizzando è quella corretta. Infatti, viene sempre presentata una timeline, progettata facendo un uso attento del colore e delle strutture grafiche, che consente di vedere, a colpo d’occhio, tutte le evoluzioni nel tempo che il documento normativo ha subito. In questo modo, diviene immediato per l’utilizzatore ottenere un’indicazione del fatto che la norma selezionata sia in vigore oppure no, riducendo in modo significativo la probabilità di errore. Un servizio come questo ha un valore enorme per un tecnico che deve confrontarsi quotidianamente con questo tipo di realtà e per me è una grande soddisfazione l’aver contribuito a semplificare il lavoro di moltissime persone che, pur non sapendo nulla di ricerca, di informatica, di User Experience design o di sistemi distribuiti, possono godere dei benefici che queste tecnologie sono in grado di generare se applicate con intelligenza.

E adesso di quali progetti ti stai occupando?

Dopo la progettazione e la realizzazione di MyNorma, di cui mi sono occupato negli ultimi cinque anni, ci stiamo adoperando per rendere il CEI un soggetto attivo a livello europeo e internazionale rispetto a quelle che oggi rappresentano le sfide più importanti per il futuro della normazione, ovvero le cosiddette norme machine readable e machine interpretable. Rendere una norma machine readable significa, in sostanza, realizzare un modello informativo che descriva i contenuti della norma stessa in modo tale che possano essere arricchiti con informazioni semantiche e/o di contesto e, successivamente, “filtrati” in modo automatico dai computer. Il passo successivo sarebbe quello di scrivere norme machine interpretable, cioè in grado di essere “comprese”, interpretate e applicate dalle macchine stesse.

Oggi le norme machine readable sono quasi una realtà mentre le norme machine interpretable rappresentano più che altro un’esigenza e una prospettiva a lungo termine. Attualmente in Europa l’idea è quella di avere, entro il 2025, delle norme “parlanti” in cui ogni frase, addirittura ogni parola, sia etichettata, riconoscibile secondo un certo criterio. Una norma comprende diversi tipi di contenuti: prescrizioni, suggerimenti, concessioni, casi di test, esempi e così via. Chi consulta una norma vorrebbe poter identificare ciascuno di questi contenuti in modo agile e veloce, visualizzando immediatamente tutti i requisiti specificati oppure tutte le prescrizioni. Al momento una cosa del genere non è possibile perché le norme sono scritte per essere lette da esseri umani, in linguaggio naturale e non senza una certa ambiguità che lascia ampi margini per l’interpretazione. In futuro si vorrebbe ridurre questa discrezionalità e, di conseguenza, far sì che sia una macchina a filtrare i contenuti a seconda delle richieste dell’utente. Implementare questa funzione comporta una revisione del modello informativo che sottende la norma. Già oggi i testi delle norme vengono scritti in XML: ogni porzione di testo è identificabile come titolo, paragrafo, tabella, figura, eccetera. L’obiettivo è quello di arricchire questa struttura estendendola dagli elementi strutturali a quelli semantici. All’interno dei gruppi di lavoro che affrontano il tema a livello sia europeo che internazionale, come CEI stiamo collaborando per proporre una soluzione e per formalizzare un’ipotesi di modello informativo astratto che potrebbe soddisfare tutte le esigenze.

Oltre a questo, lavoriamo quotidianamente all’evoluzione di MyNorma, che rimane la nostra risorsa più preziosa.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Mi ritengo estremamente fortunato perché amo il mio lavoro e non sono tra quelli che aspettano con ansia il fine settimana per potersi dedicare a qualcosa di più piacevole. Quello che per altri è una passione a cui potersi dedicare solo nel tempo libero per me è il lavoro di tutti i giorni e la fatica che comporta è sempre ripagata da un profondo senso di soddisfazione. Per me sarebbe impensabile fare qualcosa di diverso: applicare un pensiero analitico che mi permette di risolvere i problemi in modo ottimale è qualcosa che mi diverte e mi rende felice di fare il lavoro che faccio.

Quanto è stata importante per te l'esperienza al Politecnico di Milano? E tra le cose che hai imparato negli anni dell’università c’è qualcosa che ti è tornato particolarmente utile in seguito?

Io sono dove sono e ho fatto il percorso professionale che ho fatto solo ed esclusivamente grazie al Politecnico di Milano. La cultura tecnico-scientifica che ho appreso è diventata parte del mio modo di pensare e mi ha dato la possibilità di affrontare i problemi in modo brillante. Mi è capitato di incontrare persone in gamba che avevano alle spalle percorsi formativi ed esperienze lavorative diversi, tra cui molti bravi programmatori i quali, pur conoscendo benissimo i più recenti strumenti, non erano stati formati per pensare in modo analitico, razionale, matematico. Io, al contrario, avendo studiato al Politecnico, noto che mi viene naturale analizzare i problemi con un approccio pragmatico e razionale e, molto spesso, questo approccio fa emergere aspetti che altri non riescono a cogliere o fa individuare soluzioni che ad altri sfuggono.

Non è stato facile – il Politecnico è notoriamente sinonimo di lacrime, sudore e sangue – ma se mi guardo indietro mi rendo conto che quella fatica è stata una forma di addestramento che mi ha preparato ad affrontare casi reali che non saranno mai così difficili come i temi d’esame. In sostanza, il Politecnico insegna ad apprendere e questa capacità è fondamentale in tutte quelle situazioni – e non sono poche – in cui ci si trova ad affrontare argomenti nuovi e sconosciuti e si ha la necessità di riuscire a comprenderli e padroneggiarli.

C’è un aneddoto dei tuoi “anni politecnici” che ti piacerebbe raccontare?

Una volta, quando ero studente di dottorato, mi trovavo in laboratorio con alcuni studenti e a un certo punto è entrato di corsa un testista che, trafelato, ha detto: “Non immaginerete mai chi ho appena incontrato!”. Lo abbiamo guardato smarriti e lui ci ha spiegato di aver visto Elio [il frontman della band Elio e le Storie Tese, NdR]. Alcuni di noi, non sapendo che Elio studiasse ingegneria, lo hanno insultato pensando che scherzasse ma lui giurava e spergiurava che quello che aveva visto era davvero Elio. Qualcuno, ridendo, ha detto: “E se stesse venendo qui per vedere il Prof. Serazzi?”. Neanche due minuti dopo il telefono ha squillato: era il Prof. Serazzi che mi chiedeva di andare nel suo ufficio per incontrare un potenziale tesista. Quando sono arrivato sono rimasto pietrificato: davanti a me c’era proprio Elio!

Io ero un suo fan, ascoltavo le sue canzoni alla radio e mai mi sarei aspettato di incontrarlo in una situazione come quella. A quanto pare stava per laurearsi, ma doveva ancora sostenere l’esame del Prof. Serazzi, era venuto per accordarsi sul programma e per capire a quale appello iscriversi. Io ero stato coinvolto perché, anche per la tesi, aveva pensato di rivolgersi a Serazzi e gli serviva il mio aiuto per trovare un argomento che potesse soddisfare le sue esigenze. Io ho colto subito la palla al balzo e gli ho proposto di occuparsi della valutazione delle prestazioni del sito web www.elioelestorietese.it. La mia proposta è stata accolta con entusiasmo e lì è iniziata una piccola collaborazione.

Dopo l’esame, ho seguito la stesura della sua tesina e, alla fine, c’è stata la cerimonia di laurea. Quel giorno era emozionatissimo, forse uno degli studenti più emozionati che io abbia mai incontro, nonostante fosse una persona di spettacolo abituata a stare di fronte a migliaia di persone. Emozione a parte, ha discusso la sua tesi brillantemente e quando è uscito è stato subito accerchiato da tutti gli altri laureandi che volevano a tutti i costi fargli firmare un autografo! È una storia che ricordo con molto piacere perché non coinvolge soltanto me ma anche tutti i ragazzi del laboratorio che, in qualche modo, sono stati partecipi dell’evento.

Per finire, che consiglio daresti a uno studente o a una studentessa interessato/a a svolgere una professione come la tua?

Per mia natura non do mai consigli perché ognuno è fatto a modo suo e ciò che è vero per me per qualcun altro potrebbe essere insignificante o addirittura nocivo. Fatta questa premessa, quello che comunque mi sentirei di consigliare è di non correre il rischio – che purtroppo è assolutamente reale – di inseguire l’ultimo ritrovato tecnologico del momento per paura di non sentirsi “al passo coi tempi”. Come dicevo, il Politecnico è una palestra, un percorso di formazione e di addestramento. E il valore di un addestramento consiste nell’apprendere la capacità di comprendere, di pensare e di affrontare i problemi in maniera analitica. Chi riesce ad acquisire questa capacità non sarà dipendente da una tecnologia che magari, nel frattempo, sarà già diventata obsoleta. Al contrario, riuscirà sempre ad affrontare le sfide poste dall’avanzamento tecnologico e sarà sempre in grado di adattarsi alle novità. Oggi chi svolge il mio lavoro ha la necessità di essere costantemente aggiornato e per rimanere aggiornati bisogna comprendere, studiare e saper distinguere ciò su cui vale la pena investire da ciò che non è destinato a durare. Naturalmente, nessuno ha la sfera di cristallo, ma credo che un buon approccio razionale ai problemi aiuti a limitare i rischi che si corrono quando ci si avventura in maniera troppo spinta sull’ultimo ritrovato tecnologico alla moda. Quindi il mio consiglio è: imparate la teoria e il perché delle cose, imparate a distinguere ciò che ha valore da ciò che è soltanto uno strumento e diventerete professionisti brillanti che sapranno soddisfare al meglio le richieste dei propri interlocutori, clienti o datori di lavoro.

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