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Le nostre storie

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Francesco Menegoni

Ingegnere biomedico con la passione dell’informatica, Francesco Menegoni ha sempre messo la sua curiosità intellettuale, le sue competenze e il suo talento al servizio della salute e del benessere degli altri, prima come ricercatore universitario e poi come presidente e amministratore delegato di g&life, azienda triestina all’avanguardia che opera nel settore della nutrigenetica e aiuta le persone a stare meglio proponendo loro soluzioni e stili di vita “a misura di DNA”.

Dall’anno scorso, con spirito da civil servant, Francesco ha ridotto il suo impegno nell’attività imprenditoriale per dedicarsi a quella di consulente del Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito di un importante progetto volto a promuovere l’innovazione e la sperimentazione di nuove tecnologie.

Francesco, parlaci un po’ di te: qual è il tuo percorso formativo e professionale?

Ho iniziato iscrivendomi a un corso di laurea in Ingegneria Elettronica a Trieste ma  l’incontro con un cardiochirurgo mi ha in breve tempo indirizzato verso la bioingegneria. Così ho deciso di trasferirmi a Milano per studiare Ingegneria Biomedica al Politecnico, dove qualche anno dopo mi sono laureato in Informatica Medica con il Prof. Francesco Pinciroli, con cui ho poi continuato a collaborare come ricercatore occupandomi di sistemi informativi sanitari, biolinguaggi e bioarchivi.

In seguito ho conseguito il titolo di dottore di ricerca in Bioingegneria sotto la supervisione della Prof.ssa Emanuela Galli, che mi ha insegnato, tra le altre cose, a presentare nel modo più efficace possibili i risultati della ricerca scientifica in contesti nazionali e internazionali. Negli anni del dottorato ho avuto l’opportunità di collaborare con diverse realtà esterne al Politecnico, soprattutto in ambito clinico, e di lavorare a stretto contatto con i pazienti: un’esperienza fondamentale per il mio percorso successivo perché mi ha fatto capire quale fosse la mia vera vocazione. Da questo punto di vista, la collaborazione con l’Istituto Auxologico Italiano è stata particolarmente gratificante perché mi ha dato modo di applicare le mie ricerche sui sistemi biomeccanici non soltanto ai pazienti ma anche a sportivi di altissimo livello.  

Un giorno, per serendipità, un amico – anche lui laureato al Politecnico – mi contattò per propormi di collaborare a un progetto imprenditoriale molto interessante nel settore della nutrigenetica. Il progetto, nato da un’idea del Prof. Paolo Gasparini, prevedeva di sfruttare le informazioni genetiche solitamente utilizzate per diagnosticare potenziali malattie e riguardanti anche il modo di metabolizzare i cibi per migliorare le condizioni di vita delle persone, mettendo a punto diete e altre soluzioni personalizzate basate su test genetici accurati.

L’idea mi affascinava molto, così ho accettato la proposta e sono tornato a Trieste per incontrare il Prof. Gasparini e il resto del team. Qui ho scoperto una bellissima realtà che ancora non conoscevo: il parco scientifico-tecnologico Area Science Park. Nell’ambito del programma Innovation Factory, il parco operava come un vero e proprio incubatore d’impresa, selezionando le start-up più promettenti e offrendo loro un supporto logistico e finanziario per iniziare l’attività ed eseguire i primi test. Il nostro progetto fu giudicato meritevole e nel 2009, dopo un anno di lavoro, abbiamo fondato g&life. Nel frattempo abbiamo partecipato anche a diversi eventi internazionali, tra cui il Webit di Barcellona, dove abbiamo presentato l’idea davanti a un pubblico internazionale riscuotendo un grande successo.

A quel tempo ero un socio fondatore e mi occupavo soprattutto della parte operativa, finché nel 2011 un importante fondo d’investimento decise di intervenire nel capitale dell’azienda, trasformandola in una società per azioni e chiedendomi di assumere la carica di presidente e amministratore delegato – proposta che ho subito accettato con entusiasmo. In quegli anni abbiamo collaborato con realtà di tutti i tipi, dalle assicurazioni alle aziende farmaceutiche, in Italia e all’estero, offrendo il nostro know-how e la nostra tecnologia in un’ottica b2b.

In seguito la maggioranza di g&life è stata acquisita dal gruppo BioValley Investments, fondato dall’ingegnere elettronico triestino Diego Bravar e molto attivo nel settore del biomedicale, delle biotecnologie e della bioinformatica. Grazie a loro abbiamo cominciato a sondare per la prima volta anche il mercato b2c: abbiamo creato il brand Generame e, sulla base dell’esperienza maturata accanto ai nostri partner, abbiamo iniziato a realizzare anche prodotti destinati al consumatore finale – principalmente integratori alimentari e cosmetici – che ci stanno regalando molte soddisfazioni.

Da settembre 2020 ho iniziato a collaborare con il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri in veste di esperto, con l’idea di dedicare almeno un anno della mia vita al servizio della collettività e di mettere a disposizione la mia esperienza e le mie competenze per contribuire alla trasformazione del Paese.

A cosa stai lavorando in questo momento?

Per quanto riguarda g&life, negli ultimi anni oltre alla genetica di precisione – che è sempre stata il nostro punto di forza – abbiamo approfondito molto anche l’epigenetica, ovvero lo studio delle sostanze che, se introdotte nel corpo, hanno  la capacità di stimolare determinati gruppi di geni, regolandone quella che in gergo si chiama “espressione genetica”. Inoltre, grazie all’esperienza maturata partecipando a un importante progetto di ricerca europeo sui rischi cardiovascolari, abbiamo messo a punto una tecnologia che consente di rendere molto più biodisponibili alcune sostanze. Quando abbiamo deciso di lanciare il nostro brand abbiamo riunito tutte queste esperienze, realizzando sia prodotti non specifici e validi per tutti perché in grado di stimolare la parte epigenetica sia prodotti specifici legati alle variazioni genetiche proprie del singolo individuo. In questo momento, perseguendo una visione il più possibile completa del benessere, ci stiamo occupando soprattutto dell’analisi genetica del bioma intestinale.

In veste di consulente del Dipartimento, invece sto collaborando all’iniziativa “Sperimentazione Italia”: un progetto che ha l’ambizione di creare le premesse necessarie perché anche nel nostro Paese sia possibile una vera e concreta sperimentazione nei settori a più alto potenziale. Si tratta in sostanza di una norma (l’articolo 36 del decreto legge n. 76 del 16 luglio 2020 – Semplificazione e innovazione digitale, convertito con la legge 11 settembre 2020 n. 120) che da un lato facilita la sperimentazione sul campo di soluzioni innovative da parte di aziende, università ed enti di ricerca in caso di impedimenti normativi; dall’altro è uno strumento che consente, in seguito a una sperimentazione di successo, di proporre modifiche normative per colmare il gap strutturale che c’è tra l’innovazione e la normativa vigente.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Nei prossimi anni la mia intenzione è quella di internazionalizzare maggiormente l’azienda. Oggi operiamo prevalentemente sul mercato europeo ma l’anno scorso abbiamo cominciato ad aprirci alla Cina e al momento stiamo lavorando anche con il Regno Unito e con la Romania, dove siamo già presenti con il nostro brand. Inoltre, intendo affiancare la crescita di g&life alla crescita del gruppo BioValley di cui fa parte. In ogni caso, so per certo che qualsiasi cosa farò avrà l’obiettivo di migliore la vita delle persone perché questo è sempre stato il filo conduttore del mio lavoro.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

La cosa che più mi piace del mio lavoro è che i prodotti che ho contribuito a realizzare – e che spesso sono il frutto di ricerche durate anni – riescono a incidere positivamente sulla vita delle persone. Spesso ricevo messaggi di gratitudine da parte dei clienti che mi riempiono di gioia e di commozione: sportivi che grazie ai nostri prodotti sono riusciti a migliorare le proprie performance, persone che sono finalmente riuscite a ottenere i risultati che volevano dopo anni di tentativi… Questa è l’energia che mi spinge ad andare avanti e che mi dà la sicurezza che quello che faccio funziona ed è apprezzato.

Cosa ha significato per te studiare al DEIB? Quanto è stata importante questa esperienza per il tuo percorso e qual è la cosa più preziosa che hai imparato al Politecnico di Milano?

Il Politecnico di Milano mi ha dato tanto e i grandi vantaggi che offre si apprezzano ancora di più con il passare del tempo. Gli alumni del Politecnico possono contare non soltanto su una preparazione tecnico-scientifica molto solida, ma anche su una reputazione riconosciuta e apprezzata a livello internazionale: nel mondo del lavoro il Politecnico è un vero e proprio brand!

Per quanto mi riguarda, negli anni della laurea il Politecnico mi ha insegnato la capacità di pianificare in modo efficiente rispettando le scadenze assegnate. Da questo punto di vista è stata un’ottima scuola. Inoltre, mi ha consentito di seguire lezioni afferenti ad altri dipartimenti o corsi di laurea, promuovendo un approccio interdisciplinare capace di stimolare la mia curiosità e la mia voglia di imparare. Più nello specifico, avendo avuto la fortuna di appassionarmi all’informatica e alla programmazione, ho potuto dare anche esami di robotica e intelligenza artificiale che mi hanno garantito delle ottime basi in questi campi.

Avere una solida preparazione in campo informatico mi ha dato una marcia in più durante gli anni del dottorato, quando mi sono ritrovato a interagire con molte aziende che richiedevano competenze anche nel campo della programmazione. Senza contare che il dottorato mi ha anche consentito di fare esperienze al di fuori dell’accademia e di collaborare con diverse strutture sanitarie, mi ha trasmesso un metodo per essere un comunicatore più efficace e soprattutto mi ha fatto scoprire la mia vera vocazione: migliorare la vita delle persone.

C’è un aneddoto divertente di quando eri studente che ti piacerebbe condividere?

Ricordo che il giorno della mia laurea una mia amica ricoprì il Politecnico di mie foto con su scritto “Se ce l’ho fatta io può farcela chiunque”! Al di là dell’aspetto ironico e goliardico, questo è il messaggio che cerco di trasmettere a tutti i ragazzi che mi capita di incontrare quando racconto la mia esperienza nelle scuole. Se ci si impegna, si dà il massimo e si cerca di imparare qualcosa dai propri errori, ce la si può fare sicuramente.

Per concludere: che consigli daresti a uno studente o a un neolaureato che vorrebbe lavorare nel tuo settore?

Il mio consiglio è quello di dare sempre il massimo per non avere rimpianti. A prescindere dagli esiti, essere consapevoli di aver fatto tutto ciò che era in nostro potere è qualcosa che aiuta a vivere meglio e più in pace con sé stessi. Se penso al mio percorso, cimentarmi in un’avventura imprenditoriale è stata un’esperienza importantissima che mi ha dato una prospettiva molto più ampia sul mio lavoro e mi ha fatto comprendere molte cose che non capivo quando ero ricercatore, come la logica dei brevetti o della valorizzazione della ricerca scientifica – aspetti fondamentali che aiutano a fare cose che possono effettivamente avere un impatto positivo sulla vita delle persone. Perciò ai più giovani dico: se volete provare a fare qualcosa, fatelo! Magari lavorate in una piccola azienda o in una start-up. È molto difficile e richiede molto impegno ma è un’ottima scuola per sviluppare la capacità di comunicare e di interfacciarsi con persone con un background diverso. E lavorare con chi ha conoscenze e competenze diverse dalle proprie è molto importante perché consente a ciascuno di dare il massimo valore aggiunto possibile e di collaborare in modo proficuo per tutte le parti coinvolte.

 

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