DEIB Community

Le nostre storie

Le nostre storie

Irene Perali

Alumna di Ingegneria Elettronica, Irene Perali è una Systems Engineer giovane, brillante e di successo. Dopo aver conseguito il titolo di dottore di ricerca al Politecnico di Milano con una tesi che le è valsa il premio Resmini 2015 dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ha deciso di mettersi in gioco scegliendo una strada che la valorizzasse e le desse l’opportunità di crescere professionalmente.  

Grazie alle sue capacità e alle competenze acquisite negli anni di studio, Irene ha subito trovato lavoro in una delle tech company più importanti della Silicon Valley e si è trasferita in California, dove risiede tutt’ora e dove si è costruita una famiglia e una carriera entusiasmante nel settore dei veicoli a guida autonoma. Una storia che – dall’esperienza in una grande azienda fino alla più recente avventura nel mondo delle start-up – ha come filo conduttore la passione per le nuove tecnologie e la volontà di sperimentare soluzioni innovative, che guardano al futuro del suo settore e che sono destinate a trasformare radicalmente il nostro modo di spostarci nelle grandi città.   

Irene, parlaci un po’ di te: qual è il tuo percorso formativo e professionale?

Il mio ciclo di studi si è svolto interamente al Politecnico di Milano. Ho iniziato nel 2006 iscrivendomi al corso di laurea triennale in Ingegneria Biomedica, poi sono passata a Ingegneria Elettronica per la laurea magistrale e ho continuato su quella strada con il dottorato, che ho portato a termine nel 2015 sotto la supervisione del Prof. Carlo Fiorini. Durante il dottorato mi sono occupata di rivelatori di radiazioni per applicazioni in ambito medico. Più nello specifico, ho progettato e realizzato una gamma camera per il controllo del range nell’ambito dell’adroterapia a protoni, una forma di radioterapia finalizzata al trattamento dei tumori.  

Poco prima di conseguire il titolo di dottore di ricerca, ho deciso di cercare lavoro negli Stati Uniti e ho inviato il mio curriculum a moltissime tech company americane. Dopo un paio di settimane sono stata ricontattata da Apple, ho fatto un colloquio e sono stata assunta per lavorare a un progetto che prevedeva la costruzione di camere nel campo del visibile. Un mese dopo aver discusso la tesi ho iniziato a lavorare con loro, anche se prima di trasferirmi in California ho dovuto trascorrere cinque mesi a Zurigo, lavorando da remoto in attesa del visto lavorativo. Con Apple ho collaborato per quattro anni, durante i quali mi sono occupata principalmente di un progetto speciale che coinvolgeva i sistemi autonomi ma di cui non posso rivelare i dettagli perché è ancora coperto da segreto industriale!  

Dopo aver lavorato per una grande azienda, ho sentito il bisogno di fare un’esperienza nel mondo delle start-up, così ho accettato la proposta di Zoox, realtà molto dinamica specializzata in veicoli a guida autonoma dove sono rimasta poco più di un anno. Successivamente sono passata a Cruise, azienda per cui lavoro tutt’ora e che opera sempre nel settore dei veicoli a guida autonoma con un modello di business che prevede lo sviluppo di un servizio di ride sharing per le grandi città. 

A cosa stai lavorando in questo momento?

Al momento ricopro la posizione di Engineering Manager e dirigo un team di 13 persone nell’ambito dello sviluppo hardware. Il mio team definisce i requisiti di tutti i moduli utilizzati per abilitare la guida autonoma (sensori, network e computer) e l’infotainment (interfaccia utente, display, sistemi di comunicazione wireless). Il nostro scopo è quello di definire le prestazioni dei diversi sensori utilizzati (LiDAR, radar e camere) in ogni possibile scenario di guida nel dominio operativo del veicolo e come i dati prodotti vengano aggregati e processati prima di poter essere utilizzati dagli algoritmi di intelligenza artificiale.

Che cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Uno dei vantaggi principali di lavorare in ambito R&D è quello di occuparsi di tecnologie nuove senza dover sottostare alle scadenze stringenti a cui è sottoposto chi lavora direttamente allo sviluppo dei prodotti.  

L’aspetto più entusiasmante è che la tecnologia su cui lavoro non è ancora completamente definita: gli standard sono in via di sviluppo, c’è ancora bisogno di persone che definiscano i requisiti di sistema, che spianino la strada per una tecnologia ancora di là da venire. La sensazione è che ciò che stiamo facendo adesso rappresenterà un punto di riferimento importante per tutti coloro che verranno dopo di noi.  

Questo contribuisce a creare un clima diffuso di collaborazione e ad alimentare la volontà di ricercare soluzioni innovative: nell’aria c’è sempre una grande energia e una voglia di fare che personalmente trovo molto stimolanti! 

Che cosa ti ha spinta a cercare lavoro negli Stati Uniti e come valuti complessivamente la tua esperienza finora?

In parte è stato per emulazione – molti dei miei colleghi di dottorato stavano tentando quella strada – e in parte perché mi interessava fare un’esperienza all’estero. All’epoca era relativamente facile essere assunti: nel 2015, per esempio, Apple stava assumendo moltissimo anche in Europa perché negli Stati Uniti non riusciva a trovare risorse adeguate da destinare allo sviluppo dell’hardware. Inoltre, gli Stati Uniti offrono molte opportunità per un ingegnere elettronico e il mercato del lavoro è decisamente dinamico: io in cinque anni ho cambiato lavoro due volte e in entrambi i casi sono state le aziende a contattarmi, non sono io che ho dovuto cercarle.  

Nel complesso, è stata un’esperienza bellissima e straordinariamente formativa. Fin dall’inizio, nonostante la mia mancanza di esperienza, mi è stata accordata una grande fiducia e mi sono stati affidati compiti di responsabilità. Lavorativamente mi sono trovata benissimo sia con i manager che con i colleghi, l’ambiente è sempre stato molto collaborativo e piacevole. 

Di recente hai pubblicato un romanzo, Followives, che racconta la storia di cinque donne che seguono i loro mariti in California per cogliere opportunità lavorative che non avrebbero in Italia. La scrittura e l’ingegneria sono due mondi separati o in qualche modo le tue competenze di ingegnere elettronico ti sono state utili anche in questa esperienza?

Fatta la doverosa premessa che per me la scrittura è soltanto un hobby, devo dire che la mia formazione di ingegnere è stata molto utile anche in questo frangente.  

Spesso c’è questa idea romantica per cui scrivere significhi semplicemente mettersi davanti a un computer e lasciarsi prendere dall’ispirazione ma in realtà è soprattutto una questione di metodo. È necessario definire un progetto, organizzare la trama in tutti i suoi dettagli, concepire una storia che sia coerente dall’inizio alla fine. Tutte cose per cui servono grandi capacità organizzative e uno spirito sufficientemente analitico per documentarsi, anche se nel mio caso – dal momento che il libro parla molto delle tech company della Silicon Valley – ho avuto la fortuna di poter attingere direttamente alla mia esperienza personale! 

Ultimamente in Italia si è molto discusso del tema della sottorappresentanza delle donne nei corsi di laurea STEM e, più in generale, nelle professioni legate alla scienza e alla tecnologia. Qual è la tua esperienza da questo punto di vista? Hai dovuto affrontare degli ostacoli per farti strada in un mondo considerato tradizionalmente maschile come quello dell’ingegneria? E com’è, sotto questo profilo, la situazione negli Stati Uniti?

La mia esperienza come donna nell’ingegneria elettronica è sempre stata paragonabile a quella dei miei colleghi uomini, sia in università che in azienda. Penso di essere sempre stata giudicata equamente e, nella mia personale esperienza, essere donna non ha mai costituito un ostacolo, come è giusto che sia. E ovviamente non credo che le donne siano meno portate per l’ingegneria. Il fatto che ce ne siano poche è il frutto di un retaggio culturale unito al fatto che uno studente delle superiori non sappia esattamente in che cosa consistano i corsi. 

Negli Stati Uniti, in particolare in Silicon Valley, c’è un’attenzione crescente nei confronti delle donne nel tech e le percentuali stanno gradualmente aumentando. Secondo alcuni dati, le donne occupano circa il 25% delle posizioni lavorative. Le aziende promuovono diverse iniziative sia per aumentare l’interesse delle donne nei confronti dell’ingegneria a partire dall’università sia per eliminare ogni tipo di unconscious bias nel processo di assunzione prima e nella vita di tutti i giorni poi.  

Per quanto riguarda me, il mio incarico di dirigere un team mi è stato affidato al sesto mese di gravidanza, pur sapendo che mi sarei assentata per quasi cinque mesi. La mia azienda inoltre offre lo stesso congedo parentale ai padri – e lo prendono veramente! -, il che, a mio avviso, è un grande passo per la carriera delle donne. Detto questo, la Silicon Valley è un mondo a sé e so che la situazione non è altrettanto rosea in altre parti degli Stati Uniti. Tuttavia vedo un trend positivo che non può che portare a una situazione completamente equa nei prossimi anni. 

Cosa ha significato per te studiare al Politecnico di Milano? Quanto è stata importante questa esperienza per il tuo percorso successivo e qual è la cosa più preziosa che hai imparato durante i tuoi anni di permanenza al DEIB?

Sarò sempre grata al Politecnico e al DEIB in particolare per avermi trasmesso conoscenze e competenze che non hanno nulla da invidiare alle più prestigiose università tecnologiche americane. Per me è stata un’esperienza bellissima e soprattutto utilissima per il mio lavoro 

Per esempio, durante gli anni della laurea magistrale, al Politecnico ho imparato ad adottare un approccio intuitivo nell’analisi dei circuiti che non viene insegnato in molte università ma che è fondamentale per riuscire a lavorare più velocemente. Un’altra delle esperienze che sono state importanti per il mio percorso professionale è sicuramente quella del dottorato, che mi ha dato l’opportunità di sviluppare un progetto dall’inizio alla fine: sono partita dai requisiti, ho fatto il progetto, ho costruito la camera, l’ho testata e ho analizzato i dati. Insomma, ho potuto sperimentare in prima persona tutte le fasi della realizzazione di un prototipo. Questo mi è stato utilissimo quando ho dovuto fare la stessa cosa con un altro tipo di camera per un altro tipo di applicazione, sebbene in un contesto più collaborativo che ha il vantaggio di poter lavorare a progetti più complessi.  

Durante il dottorato ho anche avuto modo di interfacciarmi con il mercato dei sensori e dei software: un’esperienza con molti punti di contatto con quello che ho fatto nei miei primi anni in Apple e che quindi mi è stata molto utile in questo senso. Del resto, se mi hanno assunta nonostante la mancanza di esperienza è perché al Politecnico avevo acquisito tutte le competenze necessarie per poter lavorare in quel settore. 

C’è qualche ricordo dei tuoi “anni politecnici” a cui sei particolarmente affezionata?

I miei ricordi più belli sono quelli legati alle conferenze internazionali a cui ho partecipato insieme ai miei colleghi di dottorato. La prima fu nei dintorni Los Angeles, la seconda a Seoul e la terza a Seattle. È stato molto gratificante poter presentare il nostro lavoro, confrontarsi con studiosi e ricercatori provenienti da tutto il mondo e, naturalmente, visitare le città che ci hanno ospitato. Ricordo con molto piacere anche i pranzi con i colleghi, che per me sono sempre stati un momento di gioia e condivisione, un’occasione di convivialità per “staccare” e chiacchierare liberamente senza pensare al lavoro. 

Per concludere: che consigli daresti a uno studente o a un neolaureato in Ingegneria Elettronica che vorrebbe lavorare nel tuo settore o che magari vorrebbe intraprendere una carriera negli Stati Uniti?

Il mio consiglio è quello di non trascurare la comunicazione e di esercitarsi fin da subito nell’arte delle presentazioni. In questo gli americani sono bravissimi, mentre noi italiani spesso abbiamo la tendenza a sminuire il nostro lavoro o a parlarne in modo prolisso e poco efficace dal punto di vista comunicativo. Un buon modo per sviluppare questo tipo di competenza è sicuramente quello di partecipare al maggior numero possibile di conferenze ma anche quello di presentare regolarmente il proprio lavoro ai colleghi.  

Un altro consiglio, soprattutto per chi vuole lavorare in una tech company americana, è quello di insistere, di non farsi scoraggiare e soprattutto di scrivere un bel résumé in cui spicchino le competenze necessarie per la posizione a cui ci si sta candidando: le aziende non assumono “generalisti” ma persone che hanno dimostrato di essere molto competenti in un determinato settore. In sintesi: fatevi notare e mettete in risalto le vostre capacità! 

 

Newsletter

Vuoi rimanere aggiornato su tutte le attività di ricerca, gli eventi e le altre iniziative che si svolgono presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano? Iscriviti subito alla newsletter della DEIB Community!

Newsletter

Vuoi rimanere aggiornato su tutte le attività di ricerca, gli eventi e le altre iniziative che si svolgono presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano? Iscriviti subito alla newsletter della DEIB Community!

it_IT