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Le nostre storie

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Nicola Bienati

Nicola Bienati

Dottore di ricerca in Ingegneria delle Comunicazioni, Nicola Bienati lavora come Senior R&D Project Leader per Eni. La sua collaborazione ormai ventennale con la più importante azienda energetica italiana risale agli anni del dottorato, conseguito al Politecnico di Milano con una tesi sull’imaging geofisico.

Da allora, complice la rapida evoluzione delle tecnologie di super calcolo, Nicola ha contribuito allo straordinario sviluppo tecnologico che oggi consente all’azienda di affrontare al meglio le sfide più impegnative del settore dell’energia, a partire da quella della sostenibilità ambientale.

Il suo segreto? Una solida preparazione tecnico-scientifica, una mentalità analitica orientata alla soluzione dei problemi, l’apertura verso il futuro e, soprattutto, un’inesauribile curiosità intellettuale che rappresenta l’eredità più preziosa della sua formazione politecnica.

Nicola, qual è stato il tuo percorso accademico e professionale?

Mi sono iscritto al Politecnico nel 1989, proprio quando è stata inaugurata la sede di Como, dove ho studiato per i primi due anni. A posteriori, è stata una scelta vincente perché a Como, quando ho cominciato, si tenevano solo i corsi del primo anno e quindi non c’erano problemi di affollamento né il bisogno di alzarsi all’alba. In quei due anni ho maturato la decisione di passare da Ingegneria Elettronica alla neonata Ingegneria delle Telecomunicazioni e, a partire dal terzo anno, ho iniziato a frequentare i corsi nella sede di Milano. Quando ho iniziato a lavorare alla mia tesi di laurea mi sono avvicinato per la prima volta agli argomenti di cui poi mi sarei occupato anche in futuro e riguardano l’elaborazione di segnali sismici allo scopo di realizzare immagini tridimensionali del sottosuolo.

Dopo essermi laureato, nell’ottobre del 1996, ho fatto il servizio militare – allora obbligatorio – e l’anno successivo mi sono iscritto al dottorato in Ingegneria delle Comunicazioni, sotto la supervisione del Prof. Fabio Rocca. Durante il dottorato ho continuato a occuparmi di tematiche legate all’elaborazione di immagini da dati sismici, iniziando a collaborare in Eni. Grazie alla collaborazione tra Eni e il Politecnico, dopo il dottorato ho lavorato per un anno come ricercatore post-doc e alla fine, nel 2002, sono entrato in azienda.

In Eni mi sono occupato fin da subito dello sviluppo di tecnologie geofisiche per l’imaging di dati sismici, fondamentali per poter investigare il sottosuolo alla ricerca di idrocarburi. Quando ho iniziato avevo solo le conoscenze apprese all’università (algoritmi, tecniche di soluzione numerica di equazioni a derivate parziali, problemi inversi…). In Eni ho cominciato a trasformare queste conoscenze, più teoriche che pratiche, in codici, anche grazie alla straordinaria mole di dati a cui ho potuto accedere, inimmaginabile per un’università, e alle risorse di calcolo necessarie per applicare gli algoritmi ai dati.

Parallelamente a questa attività di sviluppo di applicativi di calcolo, ho seguito l’evoluzione delle tecnologie di super calcolo (high-performance computing). Da questo punto di vista, ho avuto la fortuna di assistere a una crescita esponenziale. Nel 2013, il primo supercalcolatore installato da Eni nel proprio centro di calcolo aveva una potenza di calcolo di mezzo petaflops (pari a mezzo milione di miliardi di operazioni matematiche al secondo). Nell’arco di sette anni siamo passati a circa 70 petaflops di capacità di calcolo, con un sistema che, all’epoca della sua installazione, nel 2020, era il sesto al mondo in termini di performance. Aver assistito a questa crescita e aver potuto lavorare su queste tecnologie è stata una possibilità unica oltre che una soddisfazione personale, dal momento che è anche il lavoro fatto sullo sviluppo dei codici ad aver portato l’azienda ad investire in questa direzione.

Questa traiettoria di crescita continuerà nel futuro: oggi si affacciano nuovi scenari perché il mondo dell’energia sta cambiando. Siamo impegnati nel percorso di transizione energetica e si stanno aprendo nuove applicazioni, diverse da quelle che abbiamo sempre perseguito. Invece di andare alla ricerca di petrolio e gas, si cercano formazioni geologiche dove stoccare l’anidride carbonica nel sottosuolo, per contribuire a ridurne la presenza in atmosfera. Anche in questo contesto, le tecnologie di investigazione e monitoraggio del sottosuolo hanno una nuova ragione d’essere.

Quali sono i progetti a cui sta lavorando in questo momento?

Il mio campo principale rimane quello dell’imaging tridimensionale del sottosuolo, che è tuttora in continua evoluzione. L’incremento della potenza di calcolo oggi disponibile ci consente di applicare algoritmi sempre più complessi e di rimuovere approssimazioni che in passato siamo stati costretti a introdurre nella soluzione dei problemi fisici alla base del nostro lavoro. Allo stesso tempo, il miglioramento continuo di queste tecnologie va di pari passo con l’aumento della loro complessità, il che rende necessario uno sforzo notevole per rendere questa complessità accessibile a chi non è un esperto di high-performance computing ma si occupa semplicemente di elaborazione dei dati. Può apparire paradossale ma la maggior parte dell’attività di sviluppo non mira tanto a perfezionare ulteriormente gli algoritmi quanto a mettere a punto un’interfaccia che consenta agli utenti di sfruttare appieno le potenzialità della macchina.

L’altro fronte su cui siamo impegnati è quello del cambiamento verso un panorama energetico più sostenibile dal punto di vista ambientale, che è sicuramente una delle massime priorità per tutta l’industria dell’energia.

Quali sono, dal tuo punto di vista, le principali sfide tecnologiche che il settore dell’energia si troverà ad affrontare nei prossimi anni?

Il tema fondamentale nel medio-lungo termine è sicuramente quello della sostenibilità. Da un lato è necessario utilizzare meglio le fonti energetiche che già conosciamo, ponendoci il problema di ridurne l’impatto ambientale. Al tempo stesso, occorre lavorare al passaggio verso fonti di approvigionamento energetico intrinsecamente più pulite. In quest’ottica, Eni al momento sta sviluppando un progetto nel campo della fusione nucleare e guarda con interesse allo sfruttamento dell’energia geotermica. In prospettiva, quest’ultima potrebbe rappresentare un’opportunità importante e avere la capacità di investigare il sottosuolo sarà fondamentale per poterla cogliere.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Mi entusiasma la possibilità di affrontare problemi sempre nuovi, di cercare soluzioni efficaci applicabili a questioni concrete. Svolgere l’attività di ricerca e sviluppo a stretto contatto con la linea di produzione è ciò che la rende così interessante perché mi dà la possibilità di toccare con mano il frutto del mio lavoro e di ricevere feedback immediati. Lavorare fianco a fianco con i colleghi che si occupano di elaborare i dati mi permette di capire subito quali sono le difficoltà da risolvere. Da lì traggo l’ispirazione e cerco di sviluppare le soluzioni più efficaci possibili, che normalmente consistono in un mix di efficienza e semplicità.

Qual è stata la tua esperienza al Politecnico e come valuti la formazione che hai ricevuto rispetto alle situazioni che ti sei trovato ad affrontare lavorando in azienda?

La formazione che ho ricevuto al Politecnico è stata la migliore possibile per affrontare i problemi e le sfide che ho affrontato nel mondo del lavoro. Solo a posteriori ho realizzato quanto sia stato importante aver studiato materie che ai tempi sembravano criptiche, come ad esempio analisi matematica, quanto valore ci fosse in quello che ho fatto quando ero studente.

La mia esperienza al Politecnico mi ha trasmesso l’attitudine al problem solving, la capacità di analizzare i problemi complessi, riducendoli a problemi più semplici. Questa capacità di fare ordine anche in contesti che il più delle volte sono estremamente caotici è stata fondamentale per riuscire a fare quello che ho fatto.

Un’altra attitudine che ho appreso al Politecnico è l’apertura verso il futuro. Docenti come Giuseppe Drufuca e Fabio Rocca avevano pienamente realizzato che il software sarebbe stato un elemento preponderante nell’evoluzione tecnologica, come in effetti si è poi dimostrato. A lezione esortavano noi studenti a seguire il corso di ingegneria del software, materia che tra l’altro mi ha anche insegnato cosa significa sviluppare e gestire un progetto e non serve sottolineare come questo sia un aspetto importantissimo nel mondo del lavoro.

Soprattutto, al Politecnico ho imparato il valore della curiosità, della voglia di capire come funzionano le cose, di porsi delle domande, di non accontentarsi delle spiegazioni semplici e di comprendere le ragioni per cui un certo evento si è verificato in un determinato modo.

C’è un aneddoto divertente che vorresti condividere?

Come ho già detto, nel corso degli anni mi sono occupato di sistemi di super calcolo, citavo prima il petaflop. Ecco, ricordo che un giorno il Prof. Rocca disse di aver letto da qualche parte che per poter simulare il cervello di un piccione occorreva una potenza di calcolo di un petaflops e che un giorno una tale potenza di calcolo sarebbe stata disponibile. All’epoca non riuscii a capire di cosa stesse parlando: capitava spesso che dicesse qualcosa che noi studenti riuscivamo a comprendere pienamente soltanto a una distanza di tempo variabile che andava dalle settimane agli anni. In questo caso, solo una decina d’anni dopo, quando Eni ha installato il primo sistema dotato di una capacità di calcolo di tre petaflops, ho ripensato alle sue parole e ho afferrato appieno il loro significato! Purtroppo, non so se nel frattempo qualcuno sia davvero riuscito a simulare il cervello di un piccione…

Che consigli daresti a uno studente o a una studentessa che aspira a lavorare nel tuo settore?

Continuo a insistere sulla curiosità: siate curiosi, cercate di affrontare problemi nuovi, attingete conoscenza da tanti campi diversi. Oltre ad avere un background molto solido nell’elaborazione numerica dei segnali, a me è servito avere conoscenze di matematica e fisica senza essere né un matematico né un fisico, sapermela cavare con la programmazione senza essere un programmatore vero e proprio. È necessario saper attingere a tanti settori differenti, facendone una sintesi che consenta di implementare la soluzione più efficace.

Il secondo consiglio è quello di sfruttare tutto quello che si è imparato al Politecnico, far tesoro di tutto quello che si è studiato anche se al momento non sempre è facile capire a che cosa servirà.

Infine, è molto importante non trascurare l’aspetto comunicativo. Ai miei tempi era considerato qualcosa di secondario rispetto alla formazione tecnico-scientifica in senso stretto ma per fortuna alcuni docenti “illuminati” come il già citato Prof. Drufuca mi hanno insegnato a comprenderne l’importanza. Nel mondo del lavoro è necessario padroneggiare la capacità di comunicare: anche il lavoro più bello e importante del mondo rischia di essere vanificato se non si è in grado di raccontarlo e di far comprendere agli altri perché è così importante.

Alla luce della tua esperienza, ritieni che la collaborazione tra università e aziende rappresenti un modello interessante in grado di offrire vantaggi a entrambe le parti?

Assolutamente sì. Il vantaggio, per l’industria, consiste nel fatto che è dall’università che vengono le idee e le persone di cui ha bisogno per poter dare continuità al proprio lavoro. Per l’università, collaborare con le aziende significa avere una forte motivazione, comprendere quali sono i problemi che è necessario risolvere e, non da ultimo, confrontarsi con la scala su cui lavora l’industria, che spesso è completamente diversa.

È un aspetto che mi affascina molto. Nel corso degli ultimi vent’anni, ho visto progetti che mi hanno lasciato a bocca aperta per la scala dei problemi che erano in grado di risolvere. Da un punto di vista puramente ingegneristico è qualcosa che mi riempie di meraviglia. Il Green Data Center di Eni, per esempio, è un piccolo gioiello: pur non essendo io un ingegnere meccanico né un ingegnere delle costruzioni, quando lo vedo riesco a cogliere l’enorme quantità di lavoro che ha richiesto e nel vedere un pensiero così complesso che si traduce in realtà c’è una bellezza molto appagante. Per me è come ammirare un quadro!

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