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Le nostre storie

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Olga Galluppi

Nonostante la giovanissima età, Olga Galluppi può già vantare una brillante carriera di ingegnere dell’automazione nel settore dell’industria automobilistica e dell’automobilismo.

Già durante il dottorato in Ingegneria dell’Informazione, conseguito nel 2018, Olga ha avuto l’occasione di collaborare con i grandi nomi dell’industria automobilistica italiana. Un’esperienza poi sfociata in una collaborazione con Maserati in qualità di Vehicle Controls Engineer che, dopo più di tre anni, si è conclusa alla fine del 2021, quando la passione per l’innovazione tecnologica, la voglia di mettersi in gioco e di affrontare sfide sempre più complesse l’hanno spinta a trasferirsi a Brackley, nel cuore del distretto britannico dell’automotive, per entrare a far parte del Mercedes-AMG Petronas Formula One Team, dove oggi lavora a un progetto tanto ambizioso quanto entusiasmante che vede la collaborazione tra il mondo dell’automobilismo e quello della vela.

Olga, raccontaci un po’ di te: come nasce la tua passione per l’Ingegneria e perché hai scelto il Politecnico di Milano?

Fin da piccola ho sempre avuto una predisposizione per le materie scientifiche e quindi ho sempre saputo che la mia strada sarebbe stata questa. Pur essendo fiorentina, ho frequentato un liceo italo-francese e il mio percorso universitario è cominciato in Francia, a Parigi. Allora mi interessavano soprattutto i modelli matematici applicati alla finanza ma mi sono resa conto molto in fretta che avrei preferito qualcosa di più “applicato” e ho iniziato a prendere in considerazione l’ipotesi di iscrivermi a Ingegneria. Così, dopo un anno a Parigi, ho deciso, in parte anche per ragioni personali, di tornare in Italia. Tra tutte le università italiane, il Politecnico di Milano era quella che più di ogni altra offriva sicurezze in termini di opportunità e apertura internazionale. Alla fine la mia scelta è ricaduta su Ingegneria dell’Automazione perché mi affascinava molto la robotica e, nonostante all’inizio fossi molto indecisa su quale indirizzo scegliere, con il senno di poi posso dire di aver fatto la scelta giusta: l’automatica è un campo interessante perché, pur essendo per molti aspetti legata alla matematica, si apre a molti ambiti di applicazione diversi, dalla meccanica all’idraulica, all’informatica, all’ingegneria elettrica, all’elettronica…

Qual è stato il tuo percorso all’interno del Politecnico?

Il mio percorso è stato molto lineare: mi sono iscritta nel 2010 ed esattamente cinque anni dopo ho conseguito la laurea magistrale in Ingegneria dell’Automazione sotto la supervisione del Prof. Sergio Savaresi e del Prof. Simone Formentin, occupandomi di argomenti teorici. Subito dopo ho vinto il concorso di dottorato in Ingegneria dell’Informazione, che ho portato a termine nel 2018 con una tesi scritta sotto la supervisione del Prof. Sergio Savaresi.

Dopo il dottorato, durante il quale ho avuto modo di sperimentare in prima persona le dinamiche della ricerca universitaria, ho preferito proseguire su una strada più applicativa e mi sono orientata verso una carriera in azienda. Durante il dottorato ho avuto modo di lavorare a stretto contatto con il mondo dell’industria automobilistica, partecipando a numerosi progetti in collaborazione con aziende del calibro di Ferrari, Brembo, Maserati, Lamborghini e Ducati. Sempre in quest’ambito, ho avuto l’opportunità di fare anche un’esperienza all’estero, a Berkeley, in California, dove, sotto la supervisione del Prof. Francesco Borrelli, ho contribuito allo sviluppo di un algoritmo di navigazione per veicoli ibridi in grado di calcolare il percorso migliore in termini di risparmio energetico. Partecipare a progetti tanto diversi mi ha consentito di sperimentare molteplici aspetti della ricerca nel mio campo e questo è stato molto positivo perché mi ha fatto capire cosa mi piaceva di più. Così, subito dopo il dottorato ho iniziato a collaborare con Maserati.

Per quanto tempo hai lavorato con Maserati e di che progetti ti sei occupata?

Con Maserati ho lavorato per tre anni, all’inizio come ricercatrice a contratto per il Politecnico nell’ambito di un progetto condiviso e poi come dipendente.

Facevo parte del gruppo di Vehicle Controls e mi sono occupata principalmente di sviluppare gli algoritmi di controllo che sono stati implementati sui nuovi veicoli che Maserati stava per lanciare sul mercato, tra cui Grecale e Gran Turismo. Inoltre, mi sono occupata del software di controllo delle sospensioni semi-attive, che è stato sviluppato in collaborazione con Chrysler per le auto uscite l’anno scorso, tra cui Jeep Grand Wagoneer e Jeep Grand Cherokee.

Nel complesso è stata una bellissima esperienza di scambio e condivisione di conoscenze e competenze, che mi ha fatto scoprire il “mondo America” e che ci ha regalato molte soddisfazioni anche in termini di recensione.

Dopo l’esperienza con Maserati, nel 2021 sei passata a Mercedes: perché questa scelta?

In Maserati, con il tempo, avevo iniziato a creare un mio gruppo di lavoro nell’ambito del quale mi occupavo anche della formazione dei nuovi ingegneri che entravano in azienda. Stavo pian piano cominciando a lavorare su aspetti legati alla gestione delle risorse e dei progetti, a svolgere un ruolo più manageriale e meno “tecnico”. La scelta di lavorare con Mercedes-AMG Petronas Formula One Team rispondeva a un’esigenza di rimettermi in gioco e di tornare a occuparmi più da vicino di innovazione e sviluppo tecnologico. Diciamo che ho preferito lasciare qualcosa di sicuro, stabile e conosciuto per qualcosa di inesplorato.

Al momento sto lavorando a un progetto molto ambizioso che vede la collaborazione tra Formula 1 e mondo velico, nell’ambito di una partnership tra Mercedes-AMG Petronas e INEOS Britannia in vista della prossima America’s Cup. Per la precisione, mi sto occupando dello sviluppo di tutti i sistemi di controllo delle imbarcazioni. È qualcosa di molto simile a ciò che ho già fatto in passato ma, al tempo stesso, è qualcosa di completamente diverso e, quindi, di estremamente stimolante. È il progetto più complesso a cui mi sia mai capitato di lavorare e sto imparando moltissime cose nuove. E poi far parte di un team che, negli ultimi otto anni, ha vinto così tante competizioni internazionali è una bellissima esperienza: è un gruppo di persone veramente fortissimo che fa dell’eccellenza, del lavoro di squadra, della collaborazione e dell’inclusività i suoi valori fondanti. Si cerca sempre di fare tutto al meglio delle proprie possibilità, in un gruppo di ingegneri che vengono qui da tutto il mondo per far parte di questo progetto.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Per quanto riguarda l’ingegneria dei controlli, apprezzo soprattutto la grande varietà: è un mestiere che consente di entrare in contatto con tanti ambiti e problematiche diversi, è una disciplina un po’ trasversale che può interagire con realtà molto diverse tra di loro. Per quanto riguarda l’ingegneria in generale, in confronto ad altre discipline, l’aspetto più entusiasmante è la possibilità di lavorare sull’innovazione tecnologica. Questo fattore è molto presente nel mondo della Formula 1, dove si cerca sempre di andare oltre la tecnologia attuale, di “spingere l’acceleratore” sull’innovazione molto più di quanto non sia possibile fare, per esempio, nel mondo delle automobili di produzione

Cosa ha significato per te studiare al Politecnico e quali cose, tra quelle che hai imparato durante la tua esperienza di studentessa e di dottoranda, ti è tornata più utile quando ti sei affacciata sul mondo del lavoro?

Sicuramente l’esperienza del dottorato è stata molto formativa. Il Prof. Savaresi mi ha insegnato ad affrontare i problemi andando sempre in profondità, a non fermarsi alla superficie delle cose. È un atteggiamento che non si applica soltanto all’ingegneria ma a molto altro. Più in generale, il dottorato mi ha insegnato ad avere uno spirito aperto nei confronti dell’innovazione, a non fossilizzarmi mai su qualcosa di noto e di dato per acquisito e ad andare sempre avanti. Anche l’esperienza che ho fatto come esercitatrice, subito dopo la laurea, è stata estremamente istruttiva in questo senso, nonostante il trauma iniziale di trovarsi di fronte a una classe di oltre cento studenti.

Da studentessa, ho avuto dei docenti preparatissimi, disponibili e “al top” per quanto riguarda la ricerca. Sia il Politecnico che il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria mi hanno lasciato dei bellissimi ricordi, senza contare che con il Prof. Savaresi ho continuato a collaborare anche dopo il dottorato, quando già lavoravo per Maserati e l’azienda portava avanti progetti importanti in collaborazione con l’università. Il Politecnico è qualcosa che ti accompagna per sempre, non lo lasci mai davvero. Per me, oggi, rappresenta soprattutto una rete di persone preparate con cui si può collaborare e con un background di conoscenze su cui si può contare anche in ambito aziendale.

La rappresentanza femminile nel mondo dell’Ingegneria è notoriamente molto bassa. Nella tua esperienza personale, l’essere donna ha rappresentato un ostacolo per la tua carriera professionale?

Effettivamente la rappresentanza femminile nel mio ambito è davvero bassissima. All’inizio del primo anno di università eravamo in 180 iscritti, di cui solo 9 donne. E alla fine del primo anno la quota si era già dimezzata. Questo mi dà molto dispiacere perché credo che non ci sia nessuna ragione intrinseca che giustifichi questa disparità. Penso che si tratti soprattutto di fattori culturali, per cui tecnologia e automobilismo vengono percepiti come ambiti più “maschili” a cui le donne, di conseguenza, non vengono incoraggiate a interessarsi. Ma non c’è assolutamente nulla che un ingegnere donna non possa fare rispetto a un ingegnere uomo.

Per quanto riguarda la mia esperienza personale, nella mia carriera non ho mai trovato dei veri e propri ostacoli ma solo delle difficoltà di ordine pratico legate alla quotidianità. Per esempio, mi è capitato di visitare un’officina per testare dei prototipi e ho scoperto che non c’era un bagno per le donne! A parte situazioni di questo genere, come ingegnere non ho mai avuto nessuna limitazione o paletto. Sicuramente, dal punto di vista culturale serve ancora qualche passo in avanti per cambiare la prospettiva. In Mercedes sono molto attenti a questo tema e stanno portando avanti vari programmi che cercano di promuovere la scelta di una carriera scientifica tra le giovani donne.

C’è un aneddoto divertente dei tuoi “anni politecnici” che ti piacerebbe condividere?

Per rimanere in tema di scarsa rappresentanza femminile e vita quotidiana, mi ha sempre divertito che nei bagni del Dipartimento ci fosse sempre la fila per entrare nel bagno degli uomini mentre quello delle donne era sempre vuoto: esattamente il contrario rispetto a quello che accade di solito!

Che cosa consiglieresti a uno studente o a una studentessa del Politecnico interessato/a a una carriera come la tua?

Il Politecnico è un’università che dà tantissimo. Come ho già detto, lì ho sempre trovato persone molto disponibili e, grazie a un modello che interconnette industria e università in maniera veramente sinergica, sono riuscita a crearmi una rete di conoscenze e di contatti estremamente utile sul piano professionale. Ciò detto, consiglierei senz’altro il dottorato perché è un’esperienza che apre gli occhi su una serie di aspetti che non sono così evidenti quando si è ancora studenti e soprattutto abitua a non fossilizzarti mai su ciò che è già noto, a guardare qualsiasi problematica da più punti di vista. Più in generale, il mio consiglio è quello di mettersi in gioco, di non fermarsi alle apparenze. Non c’è niente di cui aver paura: fare nuove esperienze è sempre qualcosa di positivo.

Inoltre, nonostante la società in cui viviamo sia sempre più “veloce”, il mio suggerimento è quello di prendersi il tempo necessario per qualsiasi cosa. È sempre meglio fare una sola cosa per bene, con calma e senza fretta, piuttosto che fermarsi alle apparenze e non dare il giusto peso alla complessità delle cose. Il nostro è un mondo fatto di sistemi complessi e chi ci vuole lavorare deve prestare attenzione a qualsiasi cosa, anche avendo il coraggio di fare domande. Anche in ambito automobilistico, i risultati arrivano se le cose sono fatte per bene fino in fondo, è questo il quid che porta alla vittoria. Per finire, ci tengo a precisare che non bisogna pensare all’ingegnere come a qualcuno che passa le sue giornate chiuso in un laboratorio: nel mondo dell’automotive la figura dell’ingegnere è molto dinamica, cool e anche divertente!

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