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Le nostre storie

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Pietro Manzoni

Pietro Manzoni è professore ordinario di Ingegneria Informatica alla Universitat Politècnica de València, in Spagna. Laureatosi in Scienze dell’Informazione all’Università degli Studi di Milano nel 1989, nel 1995 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Ingegneria Informatica al Politecnico di Milano. Dopo il dottorato, durante il quale ha collaborato con i Bellcore Labs e con l’International Computer Science Institute, si è trasferito a Valencia e lì ha iniziato a lavorare presso il Dipartimento di Ingegneria Informatica della UPV, dove ancora oggi svolge la sua attività di ricerca e insegnamento.

Specializzato in reti di comunicazione mobile, negli ultimi anni si è centrato principalmente nello sviluppo di soluzioni innovative nell’ambito dell’Internet of Things. Al centro della sua ricerca in questo campo c’è il concetto di sostenibilità, declinato nelle sue tre dimensioni principali: economica, sociale e ambientale.

Pietro, qual è stato il tuo percorso accademico e professionale fino ad oggi?

Innanzitutto, devo confessare di essere entrato in università un po’ per caso. Mi sono laureato in Scienze dell’Informazione all’Università degli Studi di Milano sotto la supervisione del Prof. Fabio Somenzi, che ormai da molti anni lavora negli Stati Uniti. Si trattava di un corso di laurea relativamente recente perché fino a poco tempo prima le discipline informatiche venivano insegnate nei corsi di Fisica, nell’ambito della cibernetica. Da appassionato di tecnologia, l’ambiente universitario mi piacque immediatamente. Dopo la laurea, un’amica che lavorava al Politecnico di Milano come assistente del Prof. Gesualdo Le Moli mi parlò dell’opportunità di conseguire un dottorato di ricerca sotto la sua supervisione. Attratto dalla prospettiva di fare della ricerca una professione, decisi di partecipare al concorso, lo vinsi e iniziai a collaborare con lui presso quello che allora era il Dipartimento di Elettronica e Informazione. Purtroppo, dopo pochi mesi il Prof. Le Moli fu costretto, per ragioni di salute, a lasciare il suo incarico e io proseguii le mie attività di ricerca con il Prof. Giuseppe Serazzi.

L’esperienza mi entusiasmò moltissimo: la possibilità di fare ricerca e di lavorare in un ambiente così attivo e stimolante mi affascinava ogni giorno di più. Inoltre, il dottorato mi ha consentito di coltivare anche la mia altra grande passione, quella per i viaggi. Nel 1993 ho trascorso quattro mesi come ospite ai Bellcore Labs, in New Jersey, e nel 1994, durante il mio ultimo anno, ho passato quasi nove mesi all’International Computer Science Institute di Berkeley, in California. Lì ho conosciuto un gruppo di studiosi spagnoli che lavoravano presso la recentemente creata facoltà di Informatica presso la Universitat Politècnica de València. Non avendo vincoli che mi legavano all’Italia, ho colto l’occasione, mi sono trasferito a Valencia e non me ne sono più andato. La giovane età dell’istituzione, che consentiva una grande libertà creativa, le ottime prospettive di carriera e l’ambiente molto dinamico e positivo mi convinsero a rimanere. Nel frattempo, mi sono sposato, ho avuto un figlio e nel 2009 sono diventato professore ordinario di Ingegneria Informatica, incarico che ricopro tuttora.

Qual è il tuo ambito di ricerca?

Fin dai tempi del dottorato mi sono sempre interessato alle reti di comunicazione, in particolare alle reti mobili, di cui allora si iniziava a discutere. All’epoca stava nascendo il GSM, il cosiddetto 2G. Lavorando insieme al Prof. Serazzi, ho integrato questo filone di ricerca con quello relativo alla valutazione delle prestazioni, ottenendo risultati molto interessanti. Senza mai abbandonare la ricerca sulle reti di comunicazione, negli ultimi anni ho iniziato a occuparmi di IoT e, in tempi ancora più recenti, di IoT in congiunzione con intelligenza artificiale e machine learning.

Più nello specifico, a quali progetti di ricerca stai lavorando?

Nella maggior parte dei casi, i progetti di ricerca a cui lavoro sono finanziati a livello nazionale e prevedono la collaborazione tra l’università e le aziende. Mi piace molto lavorare con le aziende perché mi dà la possibilità di portare l’innovazione tecnologica al di fuori dell’università. Nell’area di Valencia ci sono molte realtà agricole a cui è possibile applicare tecnologie IoT integrate con l’intelligenza artificiale: si pensi, per esempio, alla possibilità del controllo automatico delle serre. In generale, per una facoltà di Ingegneria la collaborazione con le aziende è molto importante e in Spagna esistono agevolazioni fiscali che la incentivano. Grazie alla nostra attività di ricerca e trasferimento tecnologico, siamo in grado di mettere le imprese nelle condizioni di sviluppare prodotti nuovi, realmente innovativi, da lanciare sul mercato.

Per quanto riguarda nello specifico il tema delle comunicazioni mobili, di recente il mio gruppo di ricerca ha lavorato nel campo dei sistemi di trasporti intelligenti (ITS) e, nell’ambito di una collaborazione con l’azienda catalana IDIADA, ha sviluppato dei sistemi per individuare eventuali incidenti stradali e segnalarli ai veicoli che si trovano nelle vicinanze.

A livello europeo, invece, facciamo parte del progetto SMARTLAGOON, finanziato dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020. In sostanza, si tratta di monitorare – utilizzando diverse modalità di raccolta dati, tra cui social sensing e iniziative di citizen science – la laguna costiera del Mar Menor, nella regione di Murcia, a sud-est della Spagna. Nella valutazione della situazione cerchiamo di includere tutti gli aspetti legati alla sostenibilità economica, sociale e ambientale: turismo, inquinamento, cambiamento climatico, agricoltura, industria… L’idea è quella di stimare l’impatto di tutti questi fattori su uno spazio naturale tramite la creazione di un gemello digitale dell’area che sia in grado di includere dati provenienti da fonti estremamente diverse. È un grande progetto internazionale, a cui partecipano università, aziende ed enti di ricerca provenienti da Svezia, Italia, Spagna, Olanda e Svizzera.

Qual è il valore aggiunto che una collaborazione con un’università può avere per un’azienda?

Il vantaggio principale per le aziende è la possibilità di innovare e di innovarsi. Ma c’è anche un vantaggio economico altrettanto importante perché per un’azienda collaborare con un’università o un istituto di ricerca è molto meno costoso che implementare una divisione di ricerca e sviluppo interna. Inoltre, in questo modo i ricercatori universitari hanno l’opportunità di conoscere da vicino i processi produttivi, le tempistiche e le esigenze delle imprese, che in cambio possono sfruttare le conoscenze e le innovazioni tecnologiche nate all’interno dell’università. È un modello che consente di valorizzare al meglio le competenze di entrambe le parti.

Personalmente, ritengo che a trarne il maggior vantaggio siano soprattutto le piccole-medie imprese desiderose di innovare e di sviluppare nuovi prodotti e servizi. È proprio con le PMI che ho avuto le esperienze più entusiasmati e i risultati più soddisfacenti. La sinergia tra l’università e le PMI favorisce lo sviluppo di entrambe le realtà e ha ricadute positive anche sul territorio in cui sono inserite. Infine, anche per gli studenti che vengono inseriti in questi progetti esiste un importante vantaggio, che consiste nell’opportunità di fare esperienze altamente formative a cui non avrebbero avuto accesso se si fossero limitati a frequentare i corsi universitari e a sostenere gli esami. Per non parlare del fatto che molti di loro alla fine vengono assunti proprio dalle aziende con le quali hanno lavorato nell’ambito di queste iniziative.

Quali sono, secondo te, le sfide principali che la ricerca nel campo delle reti di comunicazione mobile dovrà affrontare nei prossimi anni?

Una delle tendenze principali è quella legata all’evoluzione dell’IoT: la sua associazione all’intelligenza artificiale consente di sviluppare soluzioni molto più efficienti rispetto a quelle tradizionali. Un’altra tendenza è quella che spinge verso l’interdisciplinarietà e l’integrazione delle competenze: spesso per restituire la rappresentazione fedele di una situazione occorre ricorrere a dati provenienti da fonti molto diverse e questo richiede la collaborazione tra ricercatori con expertise molto diverse, dagli ingegneri elettronici agli ingegneri informatici, dai sociologi agli esperti di comunicazione, dai biologi agli ecologi. Un approccio interdisciplinare ha anche il vantaggio di produrre una ricerca maggiormente focalizzata verso obiettivi concreti e realmente innovativi, scongiurando il rischio di sprecare risorse preziose in attività che si limitano a migliorare di pochissimo risultati già ottenuti in passato.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Io sono sempre stato appassionato di tecnologia e lavorare con persone che condividono la stessa passione è qualcosa che non ha prezzo. Un detto molto citato afferma: “scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. Ecco, per me è stato effettivamente così. Inoltre, come ho già detto, il mio lavoro mi consente di viaggiare parecchio e di entrare in contatto con tantissime persone. Collaborare e confrontarmi con punti di vista diversi dal mio è qualcosa che mi arricchisce molto e questa professione mi consente di farlo quotidianamente. Comunicare e relazionarsi con gli altri è molto importante per me: molti dei miei progetti sono nati da conoscenze fatte durante conferenze o congressi internazionali e, per esperienza, posso affermare che spesso è dalle collaborazioni che si ottengono i risultati migliori.

Quanto è stata importante per te l’esperienza del dottorato al Politecnico di Milano?

L’esperienza al Politecnico è stata assolutamente fondamentale per me. Prima di entrare in contatto con il Politecnico nemmeno sapevo che esistesse qualcosa come il dottorato di ricerca! È lì che ho appreso i rudimenti del fare ricerca ed è lì che ho toccato con mano per la prima volta il mondo delle conferenze, dell’insegnamento universitario. Inoltre, grazie al Prof. Serazzi, la cui apertura ed estroversione mi hanno aiutato molto in quegli anni, ho avuto l’opportunità di fare esperienze estremamente formative all’estero, ho imparato a non ripiegarmi su me stesso, a collaborare con gli altri. Tutto questo ha contribuito a darmi una prospettiva differente che mi è stata utilissima quando, dopo il dottorato, mi sono dovuto “inventare una vita”.

Un buon corso di dottorato può spingere uno studente a proseguire su quella strada o fargli capire che non è quella giusta per lui. È un investimento rischioso che, nelle giuste condizioni, può insegnare ad assumere un ruolo più attivo nella scelta del proprio futuro. Per me è stato così e anche le persone con cui ho lavorato mi hanno sempre trasmesso questo spirito.

C’è un aneddoto divertente risalente ai tuoi “anni politecnici” che ti piacerebbe condividere?

Quando lavoravo con il Prof. Le Moli tenevo alcune lezioni per gli studenti e spesso mi capitava di riceverne alcuni che mi chiedevano delucidazioni sul programma d’esame. Un giorno nel mio studio si presentò Elio, il frontman del gruppo Elio e le Storie Tese: pur essendo già molto famoso come musicista, voleva comunque laurearsi ed era venuto a ricevimento per capire come prepararsi al meglio per sostenere l’esame del Prof. Le Moli. Io all’epoca ero ancora un ragazzo e soprattutto ero un suo grande fan, perciò fu davvero spiazzante per me trovarmelo davanti in un contesto in cui io avrei dovuto fare la parte del professore e lui quella dello studente! Purtroppo non lo rividi mai più perché poco tempo fui assegnato a un altro corso. È stato un incontro fugace di cui lui sicuramente non avrà memoria ma che io ricordo ancora oggi con grande emozione.

Cosa consiglieresti a uno studente o a una studentessa di Ingegneria Informatica che volesse intraprendere la carriera accademica?

Gli/le direi che il requisito principale per intraprendere la carriera accademica è avere passione. Non è certo per i soldi che si sceglie un mestiere come questo: rimanere in università significa spesso ritardare di molti anni il raggiungimento dell’indipendenza economica. Nel campo dell’informatica non si tratta di una scelta facile, considerando che già solo con una laurea triennale è possibile trovare molto rapidamente ottime posizioni lavorative che in pochissimi anni consentono scatti di carriera e aumenti salariali impensabili in accademia. Occorre crederci fino in fondo, avere molta pazienza e un amore sconfinato per la ricerca. Il lato positivo è che si tratta di un lavoro che permette di vivere delle proprie passioni, di sviluppare nuove tecnologie, di entrare in contatto con persone che condividono gli stessi interessi e lo stesso entusiasmo… insomma, di essere soddisfatti di ciò che si fa. Anche essere disposti a viaggiare e a trascorrere lunghi periodi all’estero è un fattore fondamentale per chi voglia intraprendere una carriera in ambito universitario.

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